Cecelia Ahern è una scrittrice che, negli ultimi anni, sta vivendo un periodo di discreto successo, con annessi adattamenti cinematografici di alcuni dei suoi libri (P.S. I Love You, con protagonisti Hilary Swank e Gerard Butler; Scrivimi ancora, con Lily Collins e Sam Claflin). Romanzi, quelli della scrittrice irlandese, che sono stati a volte criticati come storie romantiche eccessivamente stereotipate, spesso tendenti al ridicolo. Una sequela di cliché pronti ad allietare i pomeriggi delle proverbiali casalinghe annoiate.
Costituisce un caso a parte, nella bibliografia dell’autrice, la raccolta di racconti brevi Roar. Trenta storie, incentrate su altrettante figure di donne, che spesso sconfinano nei territori del surreale e del fantastico; una sorta di antologia di fiabe, tutte al femminile, dai risvolti sia ironici che inquietanti. Proprio su Roar è basata l’omonima serie tv Apple TV+, disponibile sulla piattaforma di streaming dal 15 aprile.
Come showrunner di questa serie antologica di otto episodi – ognuno tratto da uno dei racconti di Ahern – troviamo il duo Liz Flahive e Carly Mensch, creatrici della sfortunata, ma bellissima, GLOW (vi consigliamo di recuperare su Netflix le tre stagioni delle disavventure delle Gorgeous Ladies of Wrestling, nonostante la serie sia stata cancellata per cause legate al COVID-19).
Gli episodi autoconclusivi di Roar propongono ritratti femminili molto diversi tra loro, sia dal punto di vista generazionale che da quello etnico e sociale (dalla classica giovane biondina americana, alla donna di sessant’anni di origini indiane). Tutti personaggi alle prese con diverse problematiche relative all’essere donna oggi (una relazione tossica da cui sembra impossibile fuggire; le difficoltà nell’essere ascoltata, in un mondo di maschi bianchi, di una donna afroamericana). Storie in cui irromperà, quasi sempre, un metaforico elemento fantastico, toccando toni sia ironici che kafkianamente surreali (la succitata ragazza afroamericana, per esempio, a forza di essere ignorata, diventerà invisibile).
Roar offre una varietà di soggetti, con idee sulla carta interessanti, che purtroppo non vengono sempre sviluppati adeguatamente. La maggior parte degli episodi, a causa di una piattezza generale nella scrittura, risulta insipida e noiosa, nonostante l’esigua durata (tutte le puntate si aggirano sui 30 minuti di lunghezza). L’ottimo cast di protagoniste (Nicole Kidman, Cynthia Erivo, Merritt Wever) non sempre riesce a risollevare le sorti della propria puntata.
Figurano, tra gli episodi più riusciti, quelli dove Flahive e Mensch ritrovano le due protagoniste di GLOW, Betty Gilpin e Alison Brie. The Woman Who Was Kept on a Shelf, con protagonista Giplin, è una puntata spassosamente grottesca, dove il concetto di “moglie trofeo” diventa letterale: la protagonista, una modella, sposa un uomo facoltoso (Daniel Dae Kim). Subito il marito invita la moglie a lasciare il lavoro e a passare tutto il tempo seduta su una mensola, come un trofeo da ammirare e da mostrare agli ospiti durante i party. Un episodio dove Giplin può sfoggiare tutta la sua vena comica, soprattutto grazie ad un esilarante campionario di espressioni facciali.
The Woman Who Solved Her Own Murder, con protagonista Alison Brie, è un divertente giallo fantastico. Il fantasma di una povera ragazza, trovata morta in un bosco, aiuterà due detective – dopo Hannibal, Hugh Dancy torna sulla scena del crimine – a risolvere il suo stesso omicidio. L’episodio più cinefilo della serie, dove vengono citati esplicitamente film come Ghost – Fantasma (“ho bisogno della mia Whoopi Goldberg” esclamerà la protagonista, dopo aver cercato di comunicare inutilmente con i poliziotti).
Nonostante qualche puntata più riuscita delle altre, tra cui spiccano le due succitate, Roar rimane una serie che perlopiù lascia insoddisfatti e annoiati. Magari le due autrici, in caso di rinnovo della serie, riusciranno ad aggiustare il tiro nelle prossime stagioni, con i restanti ventidue racconti della Ahern ancora da adattare.